Il 29 Maggio scorso presso la Libreria Anomalia a Roma abbiamo assistito con interesse alla presentazione del libro L’invenzione della Specie, di Massimo Filippi, volume edito da Ombre Corte.
Il testo che segue ne è la trascrizione più’ accurata che siamo riusciti a renderne.
A cura di GiEsse.
Viviamo all’interno di una norma sacrificale dove si incrociano una Ideologia che giustifica lo smembramento dei corpi, non solo quelli animali, ed una serie di dispositivi che rendono possibile tale smembramento.
(Tesi principale del libro).
L’ideologia sostenuta dallo Specismo si rifà alla “macchina antropologica” di Giorgio Agamben, che separa l’uomo dalla nuda vita animale attraverso un’operazione che prevede un centro vuoto, e si avvale di meccanismi che sono simultaneamente, escludenti ed includenti.
Nella macchina antropologica il centro vuoto la connota come un dispositivo non più antropologico ma specista.
La macchina concettuale descritta da Agamben non traccia la linea che distingue l’uomo da tutte le altre specie viventi ma ne certifica la validità della definizione … Ciò che appare come il prodotto della macchina specista, in realtà, è ciò che essa stessa è chiamata a giustificare.
La macchina specista non scopre mai delle differenze biologiche che caratterizzano l’uomo rispetto al resto dei viventi ma, a partire da una definizione già data a priori dall’uomo di cosa è animale, sembra produrne una descrizione naturale. In realtà l’operazione in atto è quella di legittimare come naturale una operazione che in realtà non lo e’.
Definire qualcosa come naturale, nella nostra tradizione, vuole dire svuotarla della storia e trasformarla in qualcosa di utile ( legittimante ) ai meccanismi di potere. Qualcosa presente da sempre, immodificabile, quindi indiscutibile.
Sono stati tanti i passaggi che hanno portato alla costruzione dell’Uomo così come lo pensiamo e dell’Animale così come lo pensiamo, componenti di un processo che a partire dal Neolitico, attraverso le religioni monoteiste, il Rinascimento, la Rivoluzione Industriale, hanno edificato e modificato i sistemi di potere così come li ha descritti Michel Foucault .
Ma il punto fondamentale è ribadire che ad un certo punto, estratto lavoro e profitto da determinati corpi, corpi simili a quelli dei loro sfruttatori, diventa necessaria una ideologia che giustifichi e che permetta il perpetuarsi dei meccanismi di smembramento ( di quei corpi ).
In ambito umano, in certi ambienti, è dato per acquisito che prima nasce il razzismo poi le razze.
Prima nasce lo specismo ( la macchina specista) poi si inventa le specie.
Questa ferrea divisione e classificazione , fa si che divenga necessario un distanziamento simbolico tra l’Uomo e l’Animale, una presa di distanza che fa partire un vero e proprio delirio per cui l’uomo è l’animale con qualcosa in più che lo rende speciale, queste distinzioni consistono sempre in tratti biologici.
Cio’ che colpisce chi osserva la questione da una prospettiva politica e’ l’idea che esista un qualche tratto biologico, che nel nostro caso è il colore della pelle, la forma del naso, possedere un pene o una vagina.
L’idea che un dato tratto biologico sia presente senza accezioni in una certa classe e sia assente in un’altra, è esso stesso contraddittorio rispetto alla biologia Darwiniana che parla di differenze quantitative e non qualitative, ma questo è ciò su cui si fonda la divisione, cioè l’esistenza di un tratto che caratterizzi l’Uomo dal resto del vivente.
L’altro aspetto che dovrebbe farci saltare sulla sedia è che questo aspetto biologico, che caratterizza l’umano dal resto del vivente, è sempre qualcosa che ha a che fare con le funzioni cognitive. Il terzo punto è l’ostinazione con cui non si è mai smesso di cercare delle prove per dimostrare questa differenza definitiva ed incontrovertibile. ( A questo riguardo ) Ci sono sempre molti esempi ma il più adatto allo scopo è quello in cui noi definiamo l’umano più intelligente perché ha un cervello più grande.
L’espansione coloniale, ci ha portati a contatto con animali con un cervello più grande del nostro ( l’elefante, la balena..) quindi il sistema di riferimento va in crisi e si corregge: ( adesso di parla ) della dimensione dell’encefalo in relazione alla massa corporea. ( In questo modo ) … Sembrerebbe che la scala sia ricostruita, fino a che compare sulla scena un personaggio di cui nessuno sapeva l’esistenza : il “topo-scoiattolo” , il quale, sfortuna vuole, abbia un rapporto cervello massa corporea migliore del nostro. ( Ecco che ) … Allora vengono introdotte altre correzioni : rapporto più efficiente tra dimensioni degli organi e variabili fisiologiche comportamentali … In questo caso sono i delfini che ci vengono molto vicini! Ed allora vengono introdotti i tassi metabolici…
Dovrebbe colpirci questa pervicacia, a tratti ridicola, che mostra la malafede e la artificialità della costruzione di queste barriere, artificiosità che si maschera dietro ad una presunta naturalità, dietro alla finta scoperta di un tratto davvero distintivo tra l’Umano ed il resto del Pianeta.
L’artificiosità di questo processo è sicuramente il fatto che siamo noi a classificare e guarda caso scegliamo le ( nostre ) caratteristiche psicocentriche per stilare tale classificazione. Nessuno ha mai cercato di classificare un vivente sulla capacità di volare! Questo metterebbe a rischio un certo impianto nella scala ( gerarchica ) degli esseri viventi. Per chi è abituato a ragionare in termini politici, non si può non ricordare l’ausilio di altri tratti biologici utilizzati per tracciare distinzioni all’interno della nostra stessa specie: colore della pelle, forma dei nasi ecc…..
Il fattore psichico per la distinzione del folle dal sano ( di cui parla Foucault nel suo ragionamento sull’ideologia nazista) può consistere nel riconoscimento di una certa bozza cranica ... Quindi l’ulteriore aspetto politico importante che dovrebbe farci stupire e’ questo pattugliamento dei confini dell’Umano, così ossessivo, così morboso, così ridicolo, così’ oppressivo, così violento.
Quindi se questo è vero, certamente abbiamo molto chiari due ambiti: da una parte l’Uomo , che non è tutti gli appartenenti alla specie Homo Sapiens ma un costrutto molto particolare , di fatto inesistente per cui nessuno risponde mai a questa nuova norma.
L’Uomo è uomo maschio, bianco, eterosessuale, adulto, cristiano, abile, sano, e proprietario. Questa è alla fine la vera definizione dell’Uomo, a cui appartengono alcuni e non tutti gli appartenenti alla specie homo sapiens. Così come l’animale è tutto ciò che è stato reciso da questa costruzione dell’umano. Un insieme di deliri, di follie di arretratezze, di ani, di vagine, di vulnerabilità, di fluidi corporei, di pulsioni e di inconscio. Tutto ciò viene classificato sotto il concetto di animalità.
Questo non è un puro esercizio accademico, questa vasta operazione ha costruito veri e propri fenomeni di specieizzazione per cui, la dicotomia umano-animale è politicamente rilevante, non solo per gli animali propriamente detti ma, di fatto, è il meccanismo che fa funzionare tutte le dicotomie gerarchizzanti.
Nell’assetto sociale uomo-donna, eterosessuale-omosessuale, bianco-non bianco etc… viene previsto sempre che la seconda parte della contrapposizione sia svalutata in quanto molto vicina, pericolosamente vicina, all’animale.
Altro ambito è che l’equiparazione all’animale è parte tutt’altro che secondaria ai meccanismi di trasformazione di singolari collettivi discriminanti e oppressivi in “vuoti a perdere”. Il negro, l’ebreo, l’islamico, il frocio, la lesbica, il selvaggio, il migrante etc.. …e nel momento in cui alla loro stigmatizzazione sociale si aggancia una loro animalizzazione … è l’inizio dell’anticamera della fine.
Il confine uomo-animale, che è definito come naturale ed impermeabile, è dotato di una porosità differenziale molto importante per cui, come dicevo, qualche animale può passare all’interno della categoria dell’umano ma infinite schiere di umani sono passate all’interno della categoria animale.
Questo mi permette di aggiungere un ulteriore tassello a differenza dell’antispecismo classico che ha in mente questo uomo cattivo, riproducendo lo schema dell’antropocentrismo per cui l’uomo è l’animale più cattivo di tutti; tutti gli uomini, indistintamente, lo sarebbero, come se esistesse davvero una specie umana la quale, indistintamente, opprimere tutti gli altri animali.
In realtà, a mio parere, non esiste una specie padrona ma degli umani padroni.
Questo si traduce in pratiche quotidiane tipo manifestazioni contro, ad esempio, i cinesi che mangiano i cani, che a mio parere nasconde un atteggiamento xenofobo importantissimo.
L’idea prodotta è quella per cui il signor Donald Trump e il bambino ( anonimo ) … che perisce sotto i bombardamenti siriani, avrebbero la stessa responsabilità nel massacro dell’Animale … ( sotto i nostri occhi )… quotidianamente. Trovo questo tipo di vedute di una cecità oscena, e queste vedute purtroppo percorrono il Movimento Animalista.
Credo di aver elaborato cosa si intende per centro vuoto in relazione a ciò’ che la macchina specista restituisce nella forma di definizioni biologiche non contestabili. ( Abbiamo visto che ) … In realtà si tratta di qualcosa deciso a priori sulla base di interessi economico sociali politici molto precisi che la macchina ha il compito di naturalizzare.
Un altro aspetto caratteristico dell’Ideologia dello specismo è la combinazione di meccanismi di esclusione ed inclusione, per cui nel movimento stesso, gruppi con tratti biologici o singoli individui, vengono esclusi e nello stesso tempo sono catturati all’interno del Sistema; nel momento in cui sono inclusi ne vengono espulsi.
( Siamo di fronte ad ) … Una geometria complessa che non permette approcci semplificati ( nel senso che ) non c’è un dentro ed un fuori chiaro, il dentro ed il fuori si mescolano.
Per spiegare meglio questo punto in una cornice di relazioni extra umane un altro esempio: è evidente che noi includiamo gli animali all’interno della nostra società, addirittura all’interno del nostro corpo, nel momento in cui li mangiamo, di fatto escludendoli. Un individuo che mangio lo includo e allo stesso tempo lo escludo dalla mia società come selvatico etc..
…A livello intra – umano … nell’antica Atene, fulgido esempio di Democrazia … Nell’ l’Atene classica, l’Uomo è colui che ha accesso all’Agorà, cioè colui che non deve dedicarsi ai lavori materiali, che sa argomentare senza farsi travolgere dalle passioni e che parla correttamente il greco. E’ evidente che l’appartenenza a questo club è data per diritto di nascita. Non esiste un apprendistato. L’ateniese proprietario maschio fa parte di questo club esclusivo.Questo è il centro vuoto.
Non c’e’ la ricerca di un tratto biologico che caratterizzi il sistema, ma è il sistema che naturalizza certi tratti ideologici a priori ritenuti importanti per accedere ad un determinato club. Però l’inclusione degli ateniesi all’interno della Polis si realizza nel momento in cui si escludono esplicitamente i barbari (cioè chi non parla greco), le donne (che sono facili prede delle passioni) e gli schiavi (che non possiedono nemmeno il loro corpo).
Ed implicitamente la corporeità animale che percorre anche il più ateniese degli ateniesi.
Simultaneamente l’ateniese non esisterebbe se non si fosse appropriato del barbaro, della donna e dello schiavo, cioè se non avesse dato loro il compito di eseguire le proprie funzioni corporee. Questo è ciò che si intende con il complesso meccanismo di inclusione ed esclusione. L’ateniese non si forma semplicemente con una esclusione ma si forma con una esclusione appropriante ed una inclusione devastante.
L’ateniese si forma nello stesso momento in cui si forma la donna, il barbaro, lo schiavo.
Tornando ai nostri tempi, pensare a cosa accade nella divisione classica tra l’Occidente ed il migrante… ( qui accade ) una operazione analoga. C’è un centro vuoto, in questo caso lo possiamo identificare, sta a Bruxelles o a Washington. Un centro vuoto che ha già definito chi è occidentale e chi migrante e la macchina restituisce questa divisione attraverso una operazione di inclusione escludente e di esclusione includente. Per cui l’occidentale si forma nel momento stesso che respinge il migrante, lo include come clandestino ma se ne appropria come badante. A questo punto siamo attrezzati per completare la descrizione della macchina specista che nel libro viene discussa ampiamente ed è un meccanismo che lavora su 3 passaggi fondamentali:
1 _ la definizione della specie dell’Uomo. 2 _ il centro vuoto. 3 _ la favola che ci raccontiamo, per utilizzare una terminologia Derridiana , per cui noi saremmo il centro del mondo, la nostra vita è sacra (solo la nostra vita è sacra).
L’atto di definire il centro dell’Uomo avviene nel riconoscimento di quel centro vuoto. (Nell’opera di definizione del centro dell’Uomo si utilizzano ) quelle caratteristiche cognitive che sono già a priori previste nel lavoro di classificazione.La misurazione della distanza che corre tra questa specie di riferimento e tutte le altre specie (2° passaggio) e, terzo passaggio, la distribuzione gerarchica delle specie secondo un ordine inversamente proporzionale alla distanza rispetto alla specie di riferimento .
Di fatto, si comprende che abbiamo una favola.
Il riconoscimento del tratto distintivo, del centro vuoto e lo svolgimento di una serie di calcoli, consentono la misurazione della distanza e la costruzione di una distribuzione gerarchica che ( a loro volta ) permettono la costruzione della macchina specista… ( vale a dire ) … La definizione della specie dell’Uomo, della distanza delle altre specie dalla specie umana e la disposizione gerarchica di ogni specie.
Questo termine … ( specie ) … che sembrava così neutro, in realtà è quello che struttura l’organizzazione della macchina specista, in tutti e tre i suoi passaggi fondamentali.
Quando la macchina lavora a regime, la favola naturalizza il calcolo ed il calcolo normalizza la favola per cui la macchina funziona da sola,con questo presunto aspetto di naturalità/normalizzazione.
Un appunto che volevo fare che mi distanzia dai miei amici Compagni/e Marxisti, in ambito Antispecista, è che quando faccio questo tipo di ragionamento, non sto dicendo che esistono solo dei meccanismi ideologici, non sto negando gli aspetti materiali dello sfruttamento, sto dicendo che quantomeno una volta che lo sfruttamento è iniziato, i meccanismi ideologici sono fondamentali per permettere il proseguimento dello sfruttamento …
…
Quindi, per dimostrare che non mi dimentico degli aspetti materiali dello sfruttamento vorrei parlare, nella seconda parte, del Sistema della Norma Sacrificale che abbiamo detto costituito dall’ideologia giustificazionista da un lato e dai dispositivi di smembramento dall’altra.
Io credo che i dispositivi di smembramento possono essere divisi a loro volta in 2 gruppi principali, da una parte i dispositivi materiali, alcuni li conosciamo tutti: allevamento, mattatoio, laboratorio; I quali però hanno delle ramificazioni importantissime, per cui pensate alla scelta della localizzazione dove il mattatoio viene costruito. Alcuni dicono lontano dalla città per nasconderlo dagli occhi. Io che sono più Foucoultiano penso, lontano dalla città perché esiste una medicina sociale che prevede che i miasmi prodotti dagli animali non debbano alterare l’architettura urbana; comunque c’è una scelta politica precisa sul dove localizzare questi luoghi di sfruttamento … ( e si tiene conto delle ) … sue caratteristiche più minime , rozze, volgari … la scelta dell’architettura più funzionale allo smembramento, l’ottimizzazione di quello che potremo chiamare l’interior design, la posizione degli uffici, delle gabbie, dei tavoli operatori, delle catene di smontaggio, l’organizzazione industriale standardizzata dei tempi di lavoro; la scelta delle piastrelle che permettono la più facile eliminazione dei fluidi non commercializzabili.
Esiste tutta una organizzazione di dispositivi di smembramento che va oltre la semplice struttura, nell’ambito animale : il mattatoio; in ambito umano: i campi di concentramento, i Centri di Internamento ed Espulsione, le prigioni, gli ospedali psichiatrici.
Quindi c’è tutta una organizzazione del sistema di smembramento che va ben oltre gli aspetti più macroscopicamente visibili. Un altro aspetto che è ancora meno visibile che nel libro chiamo “i dispositivi performativi” .
Il termine performativo ha assunto altre accezioni più allargate, positive nell’ambito del femminismo ad esempio, però i dispositivi performativi sono quelli che Foucault chiamava: le parole che uccidono.
Il nostro linguaggio non è semplicemente un linguaggio descrittivo, io non dico solo, questo è un tavolo, questa è una sedia. Esiste sicuramente una parte del linguaggio che la teoria degli anti-linguisti ha individuato come linguaggio performativo che è un linguaggio che modifica la realtà.
Quando c’è un signore che considereremmo bizzarro se non vivessimo all’interno di una norma eterosessuale molto forte, che si veste con una fascia tricolore e che dice d’avanti a due persone, ovviamente una in nero l’altra in bianco, in un Municipio – vi dichiamo marito e moglie – questo non sta descrivendo la realtà, questo sta facendo un atto performativo di modifica della realtà. Per cui si creano una serie di doveri e diritti reciproci che modificano, che soggettivizzano differentemente quell’individuo, modificando la realtà.
Il linguaggio performativo è ovunque, lo stesso succede nelle chiese, dai vescovi che nominavano gli imperatori (ti nomino imperatore, modifica la realtà) a qualche cerimonia a Washington che nomina maschi bianchi, eterosessuali, proprietari, presidenti degli Stati Uniti. Questo modifica anche il significato della realtà. O ancora, in una Laurea universitaria quando io dico: con i poteri conferitimi dalla legge ti dichiaro dottore in filosofia, medicina, ingegneria … io sto modificando la realtà.
Esistono una infinità di dispositivi performativi, parole che uccidono, in ambito umano è evidente, ma anche in ambito animale.
Pensiamo alle leggi nazionali e sovra-nazionali che regolamentano le parti di smembramento ( la macellazione, la sperimentazione) e le leggi che prevedono le sovvenzioni economiche in queste strutture di smembramento. Queste sono parole che però fanno parte dei dispositivi di smembramento.
Le delibere delle associazioni industriali di settore, quello dei sindacati di categoria, le disposizioni regolamentari su dove cacciare su come e dove si possono tenere i circhi, su come fare ristorazione, sulla corretta gestione dei canili, sono tutte parole. Le misure amministrative atte, addirittura, a definire gli spazi dove certi animali possono recarsi e certi altri no.
C’è un aspetto ideologico e c’è un aspetto di dispositivi di smembramento, il quale è molto più ampio di cio’ che siamo abituati a pensare, anche per gli aspetti materiali sarebbe necessario riflettere.
Riassumendo: l’operazione di individuazione delle caratteristiche che permettono di tracciare la linea di confine tra l’uomo e l’animale, non è una operazione naturale ma una ( di tipo ) normativa e normalizzante. Detto più semplicemente: ciò che permette di distinguere i così detti appartenenti alla specie homo sapiens, non è la semplice osservazione di caratteristiche più o meno esclusive di questa specie, che in sé sarebbero mute, ma la capacità di far parlare certe caratteristiche biologiche le quali, di per sé, sarebbero mute e che queste caratteristiche iniziano a parlare perché si trovano all’interno di sistemi di norme.
Per farvi capire ciò che sto dicendo, vorrei passare un attimo dagli animali a situazioni umane, che in parte abbiamo già discusso, così da esplicitare meglio questo punto.
So bene che io sono differente da un cane o da un gatto o ancor più da una blatta o da una pulce, ma il punto che sto discutendo è che alcuni tratti biologici di per sé muti all’interno di una norma cominciano a diventare eloquenti ad esprimere concetti, a parlare. Un esempio classico, visto che viviamo un tempo di “sentinelle a piedi” è quello , sicuramente, di riferirsi alla costruzione dei generi, dell’invenzione dei generi. E’ ovvio che biologicamente esistono dei portatori di pene e dei portatori di vagina. Il problema è che dobbiamo chiederci come mai all’interno della nostra società, proprio il pene e la vagina diventano parlanti.
Diventano parlanti perché esiste una ferrea norma eterosessuale che prevede che esistano i maschi e le femmine, i quali si soggettivizzano come uomo e come donna e che siano naturalmente attratti l’uno dall’altra. Ovviamente questa è una costruzione sociale, il che non vuol dire che non esiste il pene o la vagina, ma il pene e la vagina iniziano a parlare all’interno di una norma sociale eterosessuale che prevede che il corpo maschile si costruisca a partire da un pene eloquente .
Il colore della pelle non parla di per sé ma parla all’interno di una norma razziale. Quello che sto cercando di dire è che non esistono i maschi e le femmine e poi si costruisce una norma eterosessuale, ma esiste una norma eterosessuale che ci soggettivizza come maschi e femmine. Ciò non vuol dire che biologicamente non esistono i peni e le vagine, vuol dire che i peni e le vagine, all’interno di una certa struttura sociale, iniziano a parlare in un certo modo.
Poi ci dovremmo chiedere come mai, e qui c’è un’altra intersezione con la questione animale, proprio il pene e la vagina, tra gli infiniti tratti biologici che ci distinguono, diventano così importanti. Siamo una società di allevatori, certamente il fatto di riconoscere istantaneamente chi è maschio e chi è femmina è fondamentale per la riproduzione . Viviamo in una società di allevatori che non è semplicemente quelli che allevano gli animali ma la nostra società è di allevatori che riconosce questo tratto biologico che è immediatamente trasformabile in profitto.
Non esistono solo le leggi o lo Stato, i grandi sistemi di potere. Esistono tutta una serie di fenomeni di microfisica del potere che sono le norme che in realtà costruiscono i nostri corpi, materializzano i nostri corpi in un certo modo. Ci soggettivizzano. Le norme non sono qualcosa che vive nel mondo empireo ma sono il fatto che quando andiamo in un ristorante, sui bagni c’è attaccato il disegnino del maschio e della femmina. Se voi guardate il vostro codice fiscale l’unico tratto biologico che è riportato è se siete maschio o femmina. All’interno della nostra società vige la norma eterosessuale, che ci soggettivizza come maschi e femmine. Norma a cui noi stessi partecipiamo.
Nel momento in cui mi presento vestito in un certo modo vi sto dicendo che sono maschio, se fossi venuto con una gonna sarei apparso ancora più bizzarro di quel che sono normalmente. La norma non solo ci soggettivizza ma siamo noi che continuiamo a replicare la norma. Poi che la norma possa essere costruita in un certo ambito, applicata in altri, che esistano norme conflittuali tra loro e che a volte si possono creare le così dette soggettività devianti o eversive o anomale o contro natura, questo è un altro discorso, ma la norma generalmente funziona naturalizzando e normalizzando.
Sicuramente la norma funziona in ambito della divisione animale, noi siamo abituati fin da piccoli a considerarci al centro del mondo e al centro dell’universo, a definire la vita umana come sacra e ripetiamo questa norma nei nostri atteggiamenti quotidiani.
Noi ci sediamo a tavola a mangiare in un determinato modo, che ci sia più o meno il cadavere sul piatto davanti a noi, però certamente camminiamo in un certo modo, ci spostiamo in un certo modo, non è un tratto biologico è normativo.
Potremmo biologicamente mangiare in una ciotola come quella dei cani ma questo produrrebbe una soggettività preoccupante. Mangiamo seduti a tavola, questo per dire che le norme valgono anche nella definizione di ciò che è umano e ciò che è animale.
Da un lato i Pet, quelli più fortunati, sono soggettivizzati come umani e poi ci sono i ragazzi selvaggi che sono usciti dalla nostra società generalmente per guerre, migrazioni, che sono finiti in società di gazzelle, società di lupi, in società di orsi e hanno performato da orso, da gazzella, fino a quando sono stati ripresi, generalmente da medici filantropi che li hanno rieducati alla specie umana.
L’ultimo punto che volevo toccare è più interessante per chi si occupa di antispecismo. Se lo specismo è questa norma sacrificale per cui esistono biologicamente, a priori, dei corpi che contano, che possono ardire a diritti e privilegi , che esistono … ( al contempo ) … dei corpi che non contano … macellabili impunemente … , ma i corpi che contano e quelli che non contano sono costruiti a partire da una norma sacrificale che, a priori, prevede che esistano dei tratti biologici che costituiscono dei corpi che contano ( la stazione eretta, il pollice opponibile, le funzioni cognitive) e dei corpi che, non avendo queste caratteristiche, sono uccidibili impunemente a miliardi. Se questa è la struttura, credo che l’antispecismo si sia poi declinato secondo tre versioni principali: antispecismo dell’identità, della differenza e del comune.
L’antispecismo dell’identità è il primo antispecismo che sostanzialmente lascia l’Uomo al centro dell’Universo. Noi siamo sempre al centro dell’Universo quello che viene suggerito è la modificazione dei calcoli. Per cui modificando i calcoli c’è, in effetti, qualche animale che ha delle caratteristiche simil umanoidi che può essere fatto rientrare all’interno della sfera dei così detti “diritti umani”.
Operazione identitaria, operazione pericolosa a mio parere, perchè per far rientrare qualche animale … ( nella sfera umana ), tra l’altro non riuscendoci (scimpanzé, gorilla, oranghi) in realtà si approfondisce la barriera con tutto il resto. Visione sicuramente colonizzante per cui solo chi è simile a me può entrare nel mio club esclusivo. Sicuramente confondente perché pensa allo specismo come un vero pregiudizio. Il pregiudizio è qualcosa che ha a che fare con il singolo individuo, è una sorta di patologia del pensiero logico. Che può essere come energiche iniezioni di argomentazioni razionali, non a caso si diceva che se i mattatoi avessero le pareti di vetro tutti diventerebbero vegetariani, non mi pare che questo sia successo. Si sono moltiplicate la trasparenza dei muri dei mattatoi ma la tragedia del male semmai è aumentata.
Da qui il progetto grandi scimmie, dal quale nasce anche l’oscillazione ed i continui ripensamenti di Peter Singer e Tom Regan che non sono dettati da preferenze personali e di gusto, ma sono strutturali rispetto all’antispecismo che hanno costruito.
Se voi leggete Singer e Reagan gran parte delle loro discussioni – se i molluschi possono far parte …(di questa o quella categoria ) … o possono essere mangiati, i pesci i mammiferi fino ad un anno di età …
…Insomma … tutta questa serie di problemi non sono perché a uno piace il pesce e quindi sui molluschi si costruiva una teoria… per dar spazio… forse ad un pregiudizio… Bisogna chiedersi se un pregiudizio che vale per la mucca, vale anche per il mollusco, per il pesce o per un mammifero di età inferiore ad un anno.
Quindi tutto sommato nella visione del primo antispecismo (che io rigetto profondamente pure essendo conscio che non se non ci fosse stato, non staremmo qui stasera ) … ( secondo il quale )… tutto sommato, l’impianto sociale in cui viviamo è un impianto sociale sano, basterebbe ingentilire un pochino il mondo … queste frasi si sentono spesso…
… “ basterebbe smettere di mangiare gli animali perché vivremmo nel mondo migliore possibile”…
Ovviamente, con la consapevolezza personale, questo che sto dicendo, sembra frutto di elucubrazioni, ma in realtà poi si traduce in pratiche. Non è un caso che il principale meccanismo politico di presentazione del 1° Antispecismo, tutt’ora vigente, è l’evangelizzazione porta a porta.
C’è una precisa visione sociale.
La Società è costituita da una somma di individui, razionali, informati o potenzialmente informabili, capaci di liberarsi dai propri interessi personali. La tipica visione Liberal della Società. Che poi gli individui non siano razionali, siano disinformati, che ovviamente viene esasperato l’individualismo e l’interesse personale, questa è un’altra questione.
In realtà la visione dovrebbe essere: ciò che struttura una Società non è la somma degli individui ma le relazioni che intercorrono tra i singoli individui. Il modo in cui i singoli individui si rapportano tra loro. E credo che questo sia stato riconosciuto profondamente dall’Antispecismo della differenza, il quale non si impegna più a dire che “ se misuriamo un po’ meglio i confini dell’Umano, possiamo farci entrare qualche animale, ma si concentra principalmente sul 3° dei meccanismi che è quello della trasformazione della differenza di genere.
Questo è il primo grande passaggio che nasce dalla matrice Anarchica, Marxista e Post-Strutturalista del 2° Antispecismo.
L’altro punto importante è che l’Antispecismo non è un pregiudizio morale ma una ideologia giustificazionalista delle pratiche materiali di smembramento già in atto. Quindi se questo spostamento di interpretazione della società per cui la società non è la somma degli individui ma ciò che corre tra questi individui; a questo punto, individui tra virgolette, ovviamente il fuoco, l’enfasi si sposta dalla morale alla politica e dall’evangelizzazione vegana al tentativo di mettere in scacco o di smantellare le strutture che reggono l’ordine sociale che si fonda su queste dicotomie gerarchizzanti.
Quindi, pur nell’embrionicità e nella spezzettatura, nell’inesistenza del movimento antispecista, sicuramente il 2° antispecismo è un Antispecismo della differenza, sicuramente si concentra non sulle scelte individuali “il mondo non si cambia cambiando i singoli gusti dell’individuo” ma si cambia innescando processi storici collettivi, di modificazione radicale dell’esistente. E in questo senso ho una serie di barzellette da raccontarvi se volete.
A partire dall’Antispecismo della differenza … da questo Antispecismo più politico, si immettono alcuni slogan classici del 1° antispecismo, che vengono ovviamente rigettati per quello che sono, appunto, slogan di dubbio valore. A mio parere certi slogan non sono utili ma controproducenti, perché se qualcuno riflette un attimo, scopre l’infondatezza di questi tipi di affermazioni.
Esempi:
“ Poiché la produzione di cibi vegetali è energicamente più vantaggiosa di quella della carne, se tutti diventassimo vegani, si risolverebbe il problema della fame nel mondo” Questo comporta una totale ignoranza dell’attuale sistema di produzione e distribuzione delle merci. Sistema che, ovviamente, piuttosto che dare in beneficenza del cibo in sovrappiù, lo butta in discarica.
Un Sistema che prevede lo smembramento dei corpi e che prevede che ci sia qualcuno che possa morire di fame.
“L’uomo è naturalmente vegano e non onnivoro, come dimostra la sua dentatura, i suoi enzimi digestivi e la lunghezza del suo intestino”. Voi capite che, pensare di attaccare una Ideologia di sfruttamento ripetendo i meccanismi biologici naturali che stiamo cercando di decostruire e soprattutto pensare che un movimento politico serio, si possa fondare sulla struttura dei denti, su che tipo di enzimi digestivi avete, a me farebbe sorridere se non mi facesse piangere.
“I bambini vanno educati al rispetto per i non umani perché molti serial killer prima di uccidere umani, hanno maltrattato animali”. Ovviamente questo vuol dire, trasformare un problema politico in un problema psicopatologico, vuol dire confondere il maltrattamento con il Dominio. Comporta anche un aspetto scientificamente poco sostenibile per cui non ci siamo mai chiesti quanti , così detti soggetti normali hanno fatto azioni di maltrattamento analogo e sono diventati Serial Killers. E ammesso si dimostrasse una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi (tra i Serial Killer e i non Serial Killer) in termini di maltrattamento animale, non sarebbe ancora dimostrato il nesso causale tra i due.
“Bisogna combattere i circhi e zoo perché educano i bambini alla violenza”. Il discorso è analogo a prima. Il problema non è un problema politico di smembramento dei corpi ma diventa un problema di pedagogia anti-libertaria.
“ La sperimentazione sugli animali si fonda su un errore metodologico come tale è dannosa per l’uomo”. Ovviamente qua si introduce dalla finestra ciò che si tenta di fare uscire dalla porta, cioè l’Antropocentrismo. Ovviamente i farmaci che vengono prodotti sono dannosi per l’uomo, le donne li possono prendere in totale tranquillità (:-)) e soprattutto direi che un reale movimento politico non si dovrebbe occupare di cosa è utile o non è utile per la salute umana, non dovrebbe trasformarsi in metrologia della scienza.
Faccio sempre questo altro esempio:
Non ho dubbi che tutti noi all’interno di questa sala, rigettiamo e condanniamo la tortura intraumana. Non perché possa fornire o meno delle informazioni utili, anche se domani tutti i torturati mi fornissero delle informazioni utili, allora la tortura diventa giustificabile. La tortura è ingiustificata perché comporta inflizione di dolore e smembramento di corpi. Se la sperimentazione animale è produzione e ottenimento di informazioni, perché questo succede, io ottengo delle informazioni dai corpi animali smembrati tramite inflizione del dolore. Un movimento politico serio non si dovrebbe concertare sulla utilità o meno delle informazioni ma dovrebbe concentrasi sullo smembramento dei corpi torturati.
L’ultimo Antispecismo, quello di cui ho parlato questa sera, è quello che supera i timori dell’antispecismo della differenza, che non si è impegna nella decontrazione del concetto di Uomo e di Specie e, appunto, che si impegna in questo tipo di lavoro.
Se è vero che l’uomo è maschio, bianco, proprietario etc… Abbiamo detto prima, tutta una serie di movimenti si sono concentrati sulla decontrazione degli aggettivi che rendono bizzarri tali sostantivi.
Il Movimento femminista Queer, i Movimenti Post-coloniali, l’Antipsichiatria. Non mi pare che l’Antispecismo si sia accollato il compito che io credo sia il suo proprio: decostruire la categoria di Uomo.
Questo Antispecismo si concentra direttamente sulla favola che ci raccontiamo, per cui questo Antispecismo cerca di mettere in dubbio l’esistenza di un proprio, un proprio dell’Uomo, sottolineando appunto che i corpi viventi sono in un continuo processo di differenziazione.
Noi siamo costitutivamente ibridi, meticci, siamo impropri, non abbiamo quella famosa proprietà privata che ci caratterizza come umani, come non esistono proprietà private di altre specie.
L’idea della specie è quello che ho cercato di ripetere più volte: un utile dispositivo di occultamento di meccanismi di potere molto funzionali alle Elite dominanti per continuare a gestire la vita nei termini di un continuo e progressivo smembramento.
Io ho chiamato comune questo aspetto perché credo che esista una sorta di faglia di vite impersonali che attraversano l’intero vivente sensuale, quindi diventa desiderante, che è caratterizzato da tanti aspetti, come la vulnerabilità dei corpi, noi siamo vulnerabili non perché ontologicamente vulnerabili, ma perché siamo costituiti da rapporti. Quando entro in rapporto espongo il mio corpo alla possibile vulnerabilità.
Siamo corpi finiti che moriranno ma siamo anche corpi in grado di gioire, di giocare, quindi corpi, e questo lo condividiamo sicuramente con gli animali, che sono in grado di rendersi inoperosi e sottrarsi agli imperativi categorici della produttività e della riproduzione.
Chi ha in casa un animale … ( lo sa… ), quando gli animali sono liberi, sicuramente uno degli aspetti che a me ha sempre colpito è la ( loro ) capacità di gioire, di godere, di giocare, senza un fine prestabilito, quella che si dice “gioia di vivere”.
Questo è quello che io ho imparato maggiormente dagli animali, questa capacità di rendersi inoperosi. Questo non vuol dire ridurre l’entità del dramma ma vuol dire accentuarlo ancora di più. Da un lato volevo portare questo aspetto gioioso alla vostra attenzione, dall’altro se c’è qualcosa di più terribile che far soffrire chi può soffrire è far soffrire chi dovrebbe gioire. La situazione non si semplifica, semmai si complica.
Vorrei dire due parole sulla struttura del libro che è mostruoso in sé perché parte come saggio filosofico e progressivamente si trasforma nel racconto di storie. Succede questo innanzitutto perché abbiamo a che fare con un linguaggio; il linguaggio è la principale delle istituzioni, questo è un aspetto a cui non pensiamo molto.
Il linguaggio è la principale delle Istituzioni che si è creata storicamente, culturalmente e che ha delle concrezioni al suo interno per cui lo rendono specista, sessista e le cose che sappiamo. Tuttavia, è l’unico strumento che abbiamo a disposizione per attaccare e decostruire questi dispositivi di potere …. come dire, smarcarsi dall’idea che esiste una verità con la V maiuscola, trascendente, universale, per cui riferendosi a questa avremmo la possibilità di smontare certi dispositivi, ma appunto pensare a come e’ il Sistema ( … ) un conto è il reale, ciò che è reale … un conto è ciò che è vero. Ciò che è vero è una costruzione che si forgia nella battaglia politica.
E quindi l’idea di superare questo aspetto. Ho provato a giocare con il linguaggio per cercare di renderlo inoperoso nella seconda parte del libro … proprio per cercare di mimare quella gioia animale di cui parlavo prima.
C’è un bellissimo esempio di Agamben, parla del gatto che gioca con il gomitolo, che mette in atto dei meccanismi venatori, resi inoperosi perché non c’è il topo che muore. Ecco io ho cercato di fare un lavoro analogo nella seconda parte del libro con il linguaggio, che discende dalla nostra tradizione, un linguaggio costituitivamente violento, cercare di farlo lavorare contro se stesso di renderlo inoperoso … i fare parodie di parodie per cui l’ultima parte e’ costruita con un lavoro di archivio, di costruzione presa da racconti da narrazioni filosofiche o da referti medici psichiatrici. Costruendo quello che vengono chiamati casi clinici, mimano i referti di polizia, mimano i referti clinici, i referti psichiatrici, i referti degli internamenti carcerari, per mostrarne la loro innaturalità.
Si fa una parodia della parodia un po’ come fanno le Drag Queen , accentuano così tanto gli aspetti maschili e femminili da mettere in dubbio che esista uno stile femminile. L’operazione che ho cercato di fare è una operazione analoga, mostrando con delle copie volutamente eccessive, l’inesistenza del normale e dell’originale, come in una artificiosità di ciò che consideriamo normale ed originale.
Qua faccio sempre una battuta che mi è starà accreditata “ Nessuno di noi riesce a materializzarsi perfettamente nelle infinite norme che ci costituiscono come umani: maschio, bianco, eterosessuale….” – l’esempio più classico è il presidente degli Stati Uniti, anche lui, che è l’umano paradigmatico, porta quel cesto giallo in testa che mostra l’artificialità di queste norme. Nessuno di noi, neanche il più paradigmatico riesce ad adeguarsi a questa norma, ed è questa l’operazione che tenta di fare la seconda parte del libro.
Vorrei leggere uno dei casi clinici per rendere conto di questa parte, che è il caso 25, il quale, credo, riassuma quello che ho cercato di dire stasera andando a toccare vari aspetti di come la questione animale vista nella sua interezza si ramifica chiaramente anche in termini intra-umani, costruendo quello che viene definito come un delirio di un folle che parla con più voci, alcune le riconoscerete ma questo è poco importante.
Questi pezzi sono costruiti cucendo insieme, in un lavoro certosino e delirante pezzi di altri, sono poche le parole mie qui dentro che servono a collegare una parte con l’altra:
“ Io sono legione, banda, muta. Sono un numero incalcolabile di età, di ore e di anni, di storie intempestive. Siamo i senza nome, le ombre dei nomi, le vittime che non contano perché a noi è stato vietato perfino il racconto. Siamo la mancanza invisibile, la moltitudine sterminata. Siamo le vite che sono come se non fossero mai esistite, dettagli senza importanza, giornate senza gloria, turbolenze così oscure che neppure ci si è presi la briga di trasformare in casi. Io sono i troppi che, nati, è come se non avessero mai raggiunto né attraversato il mondo; il tempo non ha trovato il tempo per assistere ai nostri affanni e ai nostri fallimenti, aveva solo urgenza di disfarsi dei nostri respiri. Io sono i non registrati perché infimi fin oltre l’infamia: il potere non ci ha visti o ci ha annientati in meno di un istante con la luce folgorante del suo sguardo impassibile. Siamo passati senza lasciare traccia. In fondo al mare, tra le macchine, nei campi, nei gommoni e tra le reti, lungo le catene di produzione, nei laboratori e nei mattatoi, nelle guerre e nelle carestie, sotto i colpi della peste, dell’AIDS e delle epidemie, dei fucili, dei bastoni, dei manganelli e dei machete, nelle caserme, nelle sale operatorie, sotto i lampi delle bombe o sopra i bagliori delle mine, negli agguati, nei fossi, nei recinti, nelle gabbie, nella disperazione e nel terrore, nell’estrema povertà. Sotto il letto di un misero albergo a ore. Tutto deve essere detto una volta e ancora un’altra affinché non vada perduto. Sono la polvere che non viene lasciata depositare. Io sono la cenere e il vostro destino, perché tutti, prima o poi, saremo spazzati via dall’oblio. O forse no, dal rovescio del tempo transita tutto: ciò che è conosciuto insieme a ciò che non lo è, a ciò che non lo è, a ciò che non è registrato né tenuto in considerazione. Sono in mezzo a voi, la materia oscura che vi dà forma. Continuiamo a palpitare sotto la terra come se non volessimo scomparire del tutto, siamo una massa ingente di parole, eventi, passioni, delitti, ingiustizie, paure, risate, aspirazioni, ardori, macchinazioni, convinzioni, chimere, pietà, segreti, umiliazioni, discordie, vendette, amori, pensieri, Che cosa è reale e che cosa è fittizio? Non dire che il vivente è un genere diverso da ciò che è morto, ma piuttosto che è solo un genere rarissimo di questo. E non lasciare che muoia ancora, trattieni il tempo, fallo restare, lascia che la polvere ti assordi, che possa far rimbombare le urla intense della sofferenza e della morte, i gemiti fugaci del piacere e del desiderio, le mute grida di speranza, l’assordante silenzio di ciò che è stato escluso ai bivi della materia e della storia. Non lasciare che il nemico vinca due volte. Scrivi, racconta, onora la nostra obbligata memoria, l’assenza di memoria. Io sono collettività, moltitudine venuta dallo spazio e dal tempo. Sono immaginazione sospesa. Sono il pianto di morte e il lutto inestinguibile. Sono la blatta che hai schiacciato e hai visto morire: la materia viva, l’immemorabile, il mondo. Sono l’immensa collettività, la sterminata moltitudine”.