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LIBERTA o PRIVILEGIO?

Messaggio ai “vaccinati” e ai non “vaccinati”

vorrei esporvi la mia idea in rispetto alla differenza tra la libertà e l’iniezione del covid.

L’iniezione, davvero, ci “restituisce” le libertà?

La risposta è, assolutamente: NO

Accettando l’iniezione non si ottiene “libertà”, si ottiene il riconoscimento di un PRIVILEGIO.

Privilegio NON corrisponde a libertà ed ecco perchè:

Libertà non e’ uno stato che ci possa venire assegnato da qualcuno.

Libertà è autodeterminazione

Uno stato di libertà ci permette di decidere DA NOI  che cosa è giusto PER NOI.

Ogni privilegio o “diritto straordinario” viene sempre concesso a titolo di ricompensa in tributo ad un atteggiamento di obbedienza o acquiescenza.

Diritti speciali o straordinari sono titoli che  vengono accordati da figure di autorità.

In termini di realtà qualunque ente o autorità che concede un privilegio a chiunque lo potrà poi revocare in un momento successivo.

Le regole sono soggette a cambiamenti e possono subire modifiche dettate dal caso o in base ad una precisa agenda di passaggi i quali costituiscono SEMPRE gli interessi delle figure in autorità, mai quelli dei soggetti sottoposti.

Quindi, con le iniezioni non otteniamo libertà

… ma ci sottoponiamo servilmente alla discrezione delle autorità che decidono e decideranno per noi …

… e questo stato di prostrazione alle autorità corrisponde esattamente all’opposto della libertà. 

Accettare queste iniezioni significa accettare una dipendenza assoluta dalle autorità e dalle esigenze del sistema di governo tirannico che ne regolano il passo.

L’unica via per essere liberi è NON ACCETTARE la loro autorità e NON ACCETTARE LE LORO INIEZIONI.

Nel caso lo avessimo già fatto, se ne abbiamo già accettata una, non diamogli più peso del dovuto: tutto ciò che abbiamo bisogno di fare è non accettarne delle altre e smettere di partecipare a questo “gioco” insano.

Questa “pandemia” durerà soltanto tanto a lungo quanto noi decidiamo di continuare a credere alle loro ignobili menzogne e al clima di terrore somministrato dai media e

Questo è un urgente invito ad aprire gli occhi e a non accettare di barattare la vostra capacità di essere liberi e di determinare con le vostre scelte i vostri interessi vitali per dei privilegi, del tutto temporanei, che vi vengono concessi oggi e revocati domani.

il giorno dopo

Nel momento in cui stava per entrare nella fase terminale della sua malattia, l’attore comico Bob Monkhouse usava scherzare sulla sua condizione e su quanto questa, nelle circostanze, lo ponesse di fronte al fatto che la peggiore parte nel processo di morire fosse quello relativo alla certezza che, il giorno successivo all’evento, egli si sarebbe trovato in uno stato estremo di rigidità.

Per quale motivo dovremmo drammatizzare un evento che, prima o poi, interesserà tutti noi.

Come sosteneva il filosofo Spinoza, non pensare affatto alla morte ma soltanto a vivere la vita costituirebbe  elemento di saggezza, evidentemente però la capacità di elaborazione della quale siamo dotati non ci consente un tale atteggiamento virtuoso. La pervasiva preoccupazione che prima o poi dovremo morire è universalmente diffusa ed ogni società umana offre rimedi per placare lo stato di ansia che tale attività evoca in noi.

Le religioni prospettano una sorta di vita dopo la vita terrena, mentre le più materialiste tra le fedi secolari e laiche suggeriscono, attraverso il concetto di continuità, la quasi certezza che la nostra vicenda esistenziale individuale si colloca funzionalmente alla  base di entità maggiormente  significative quali la nazione, i progetti politici condivisi, la specie umana, in un processo di evoluzione cosmica che nega la prospettiva  dolorosamente certa dell’oblio.

Nella nostra vita personale lottiamo per creare e per consolidare  una immagine fittizia di noi stessi da proiettare al mondo. Carriera e famiglia offrono l’illusione di prolungare il senso del se individuale oltre la tomba.

Gli atti di eroismo eccezionale, i primati stabiliti, le sfide nella pratica degli sport estremi assolvono il medesimo impulso. Lasciare un impronta tangibile del nostro passaggio ci fa sentire meglio in rispetto al fatto che, da morti, saremo presto  dimenticati.

In considerazione di questa premessa sembrerebbe che, nella sua essenza, l’impresa culturale umana costituisca un esercizio teso alla negazione della propria finitudine.

Nel suo libro Immortality: The Quest to Live Forever and How it Drives Civilization del 2012, l’autore Stephen Cave espone con modalità espressive meravigliosamente risuonanti lo sforzo di ricerca spasmodica di vita eterna messo in atto dagli esseri umani nella storia, così come, forse in maniera ancora più vivida riesce a fare Caitlin Doughty nel suo saggio Smoke gets in your Eyes and Other Lessons from the Crematorium del 2015; in suddetto volume l’autrice presenta ai lettori la sua esperienza di vita e di lavoro presso un’azienda di servizi funebri operante in California, evidenziando la misura con la quale le pratiche inerenti tale particolare servizio, siano messe in atto proprio per sottrarre alla nostra attenzione in rispetto all’evento della morte, rimuovendo i corpi dei defunti rapidamente ad esempio, oppure imbellettandone le spoglie tanto da restituire loro un aspetto accettabile ai vivi.

Entrambi questi due testi citati citano, nei vari passaggi, il lavoro svolto dall’antropologo Ernest Becker.

Nel suo libro The Denial of Death del 1973, egli suggerisce che la tenuta a debita distanza dalla morte nella cultura umana assolva il compito di mantenersi saldi al volano della civilizzazione. Tra le numerose imprese umane che conosciamo, sia quelle più apprezzabili che quelle più tragiche e criminali, l’elemento comune è invariabilmente quello legato, appunto, alla giusta distanza tra l’essere vivi e carne del mondo e il non esserlo affatto.

Ma il lavoro di ricerca di Ernest Becker e’ stato anche fonte di ispirazione per un altro testo importantissimo su questo tema: The Worm at the Core opera di tre psicologi Americani, Sheldon Solomon, Jeff Greenberg e Tom Pyszczynski tra le quali pagine essi riportano quanto segue:

“… in un grigio pomeriggio di Dicembre del 1973 il filosofo Sam Keen, contributore della rivista Psychology Today, si recò all’ospedale di Burnaby, British Columbia, per intervistare un paziente ricoverato presso la strutture, nel reparto terminali di oncologia, al quale non erano rimasti che pochissimi giorni di vita. Non appena entrato nella stanza che accoglieva quest’uomo egli , con un tocco di rara ironia, considerate tali circostanze, disse lui “ … mi becchi proprio in extremis! Questo e’ il test finale che avvalorerà tutto il  lavoro di ricerca da me svolto negli anni sull’evento della morte nella vita delle persone…. ecco, avroò certamente, e molto presto, la possibilità di mostrare come muore un uomo!”

L’uomo in fin di vita altri non era che Ernest Becker.

Parlando con Keen, Becker ebbe modo di tirare le somme sulle sue teorie le quali, ancora oggi, sono oggetto di discussione e di ulteriore sviluppo: 

Costruiamo caratteri e cultura allo scopo di schermarci dalla devastante certezza della nostra morte e di quanto siamo in una posizione di assoluta impossibilità di evitarla.

Quella di Becker non può essere definita una carriera facile.

Nato nel 1924, diciottenne si arruola in fanteria e serve in Europa in un battaglione dell’esercito che libererà dai Nazisti un noto campo di sterminio. Dopo un periodo di impiego presso il Dipartimento di Stato all’Ambasciata Americana a Parigi, decide di intraprendere gli studi di antropologia facendo ingresso nel circuito accademico. Si muove tra diverse difficoltà da un’università all’altra, sempre amato dai propri studenti, i quali ad un certo momento nelle vicissitudini del docente, si offrono di pagare personalmente il salario di Becker per consentire lui di rimanere all’università Californiana di Berkeley. Di contrasto, mai particolarmente apprezzato dai colleghi. Nel 1974 al suo The Denial of Death viene riconosciuto il Premio Pulitzer, ma soltanto dopo due anni dalla morte dell’autore avvenuta nel Marzo dello stesso anno.

Solomon, Greenberg e Pyszczynski vennero a conosenza del lavoro di Becker all’inizio degli anni ottanta: “… per noi fu una rivelazione… Becker ci spiega come il terrore della morte guida la specie umana in ogni suo atteggiamento … “ – Colmi di entusiasmo i tre giovani psicologi tentarono di condividere le idee di Becker ad un evento che si tenne presso la sede Society for Experimental Psychology. In quell’occasione la audience si diradò non fu chiaro che la loro presentazione era influenzata da psicoanalisi e filosofia esistenziale, come si cominciò a menzionare Marx, Kierkegaard, Freud e lo stesso Becker i più affermato tra gli psicologi presento cominciarono ad avvicendarsi verso l’uscita. successivamente i tre presentarono il loro lavoro ad una pubblicazione accademica soltanto per ricevere, alcuni mesi dopo, un riscontro da parte loro dove si legge “… non c’è alcun dubbio da parte di chi scrive che il vostro lavoro non sarebbe di alcun interesse ai ricercatori  che fanno capo a questa comunità scientifica …”.

Di certo Becker non si sarebbe meravigliato di tale accoglienza.

Con caparbietà i tre continuarono per i seguenti 25 anni a svolgere il proprio lavoro di ricerca e a testare le idee risultanti da esso.

La fusione in un unicum del  pensiero esistenziale con pratiche e risultati empirici in ambito delle scienze sociali, i tre sostenevano, genera una serie di comportamenti umani stereotipati: disturbi di tipo ossessivo compulsivo, l’ansiosa rincorsa alla ricerca di piaceri di tipo sessuale finalizzata al consolidamento di un maggiore senso di auto stima, fino ad atteggiamenti vessatori e violenti atti a minacciare l’integrità di coloro i quali tentano di diffondere idee ritenute non idonee allo status quo.

The worm at the Core rimane il testo maggiormente comprensivo e basato saldamente sull’idea che scacciare via la consapevolezza della nostra mortalità è fattore principale nello svolgersi della vicenda e della condizione umane.

In considerazione della iniziale reazione bigotta e della mancanza di coraggio esternate dalla comunità accademica di quegli anni, poter tornare a parlare oggi del lavoro svolto da questi ostinati ricercatori ha un importanza davvero rilevante.

Al tempo stesso e attraverso una sua lettura più critica The worm at the Core sembra soffrire di una certa negligenza nella maniera con cui si cerca di dare una spiegazione agli impulsi conflittuali che i suoi contenuti ispirano nel lettore. E’ comunque vero che la consapevolezza che  un giorno dovremo morire ci distanzia e ci diversifica, più di ogni altra cosa, da tutti gli altri animali.

E’ vero anche che, sottolineare che la paura di morire con la conseguente negazione della morte stessa rimane una delle forze piu’ potenti nella vita delle persone.

Ciò che sostanzia una lettura critica di quel testo, tanto quanto quelli che presentato le stesse idee, è il fatto, anch’esso innegabile, che molti esseri umani mantengono un atteggiamento ben diverso nei confronti della morte.

Non tutte le religioni possono venire definite come culti votati all’immortalità.

Il terrore della morte occupa universalmente uno spazio connotato da  preoccupazione e timore e il tentativo di sottrarvisi possono venire rilevati in molte diverse culture e tradizioni, inclusa l’alchimia Cinese, ma il desiderio di vivere in eterno appare in maggiore misura tra le società i cui valori si rifanno e sono plasmati  da fedi di tipo monoteistico, particolarmente in quella Cristiana. La credenza di una “vita dopo la vita” non appare centrale nella religione Giudaica ad esempio.

Nell’antica, politeista Grecia, si credeva che la mortalità degli umani rappresentasse motivo di invidia da parte degli Dei, la quale immortalità veniva rappresentata come una specie di dannazione, l’eternità una noia senza fine.

In diverse delle loro versioni sia il Buddismo che l’Induismo esprimono una ricerca della forma mortale, la promessa di una stasi nel ciclo di re-incarnazione, trasmigrazione e rinascita.

Per gli antichi poeti e per i filosofi del periodo pre-Cristiano in Europa, la morte non era assolutamente una così brutta cosa.

Lo stoico Seneca, vissuto tra il 4 prima di Cristo e l’anno 65 dopo Cristo, esortava i propri seguaci a non temere la morte e di organizzarsi intorno al progetto di porre fine alla loro esistenza laddove si ritenesse di avere di già assaporato i piaceri più fini della vita.

Ancora più radicale, il poeta Greco Theognis, attivo intorno al sesto secolo prima di Cristo, dichiarava che la cosa migliore sarebbe stata quella di no essere mai nati, persino Nietzsche riprese questa linea nel suo lavoro letterario di analisi sulla cultura Ellenica.

Nel suo poema Tess’s Lament, Thomas Hardy narra che l’eroina protagonista della storia avesse dato voce ad una simile raccomandazione … “ … non posso sopportare le obbligazioni della vita, annullerò la vita, azzererò la mia memoria … “ – il sentimento espresso dalla protagonista, Tess of the d’Urbervilles, usa il termine un-be, come dire, ancora più fortemente di “ cessare la mia vita “ si intende disfare la vita, o meglio, non venire al mondo.

La protagonista dipinta da Hardy illustra la potenza dell’intuizione di Freud sull’ambivalenza umana sia di determinare una estinzione completa della specie tanto quanto di ritrovare sempre le risorse per vivere ed andare avanti.

In The Black Mirror lautore Raymond Tallis, svolge tutti gli studi per maturare una competenza nel campo della medicina e dedica la sua professionale alla geriatria e alla filosofia. Nella parte iniziale di questo particolare e strano libro  egli scrive che essere filosofo “ …equivale ad essere un osservatore casuale ed il picco di massima osservazione garantito dall’evento del trapasso costituisce l’ultra ne plus di un dato punto di vista filosofico … volgere lo sguardo su ciò che e’ stato della tua vita dalla prospettiva virtuale di uno che gli è sopravvissuto …” – Il libro in questione ripropone implicitamente l’ingiunzione di Spinoza  menzionata all’inizio di questo breve trattato,  “… l’individuo davvero libero dovrebbe viversi  la vita senza pensare alla morte…  lo scopo di vivere da filosofi ci impone di morire da filosofi, vale a dire, di morire nei pensieri e nell’immaginazione prima di morire fisicamente …”.

Questa affermazione rappresenta un poco il paradosso centrale del testo in questione, se desideri vivere in accordo con dei principi filosofici ebbene, dovrai considerarti di già morto, ma fare ciò appare un opera impossibile, Tallis ammette, visto che quello che accade quando la vita volge al termine non ci è concepibile.

Come possiamo farci un’idea della non-esistenza?

Se siamo tormentati dal pensiero di morire, una delle cause di questo stato di sofferenza è certo quella della nostra impossibilità di immaginarci morti.

E’ davvero difficile credere che su questo versante la filosofia e i filosofi possano essere di alcun aiuto.

In The Black Mirror Tallis esplora la vita che sarà andata perduta dal momento che egli se ne sarà andato, in questo esercizio l’autore discute anche gli aspetti e gli stati emotivi relativi al lutto e di quanto, a volte, la sopportazione del dolore della morte di una persona a noi cara, superi lo stato di angoscia che ci si figura a fronte della nostra stessa morte, ma questo non costituisce una grossa parte del saggio.

E’ evidente che la principale preoccupazione dell’autore rimane la sua morte, per tutta la durata dello scritto egli si esprime in terza persona.

La prospettiva espressiva in terza persona non costituisce in questo caso un approccio stilistico di narrazione, ma piuttosto un tentativo di arroccamento su di un punto di osservazione esterno a se stesso che non si trasformi però in quello proprio di interamente un altro soggetto. Ma, a meno che non si creda all’esistenza di una mente superiore, divina, tale punto di osservazione non esiste.

Tallis è un ateo convinto, non uno di quegli atei militanti che predicano incessantemente dei mali delle religioni come Richard Dawkins, ma della varietà più rara e intelligente che trova la fede nell’esistenza di una entità divina cosa vuota e incoerente.

Ma se l’idea dell’esistenza di una qualche deità non ha alcun senso allora lo è altrettanto quella che il mondo possa venire osservato da qualcuno che è morto. Dopo tutto chi o cosa stà osservando cosa?

Tallis tenta di adottare questo assurdo punto di osservazione per via del suo desiderio di “ vivere filosoficamente”. L’esercizio di essersi immaginato morto, egli probabilmente spera, lo re introdurrà nel mondo sensiente arricchito di una qualche rinnovata energia.

The Black Mirror, ci dice l’autore “… è in ultima analisi, un lavoro di contemplazione e di gratitudine…” – verosimilmente il libro contiene diverse invocazioni alla bellezza inerente certi scenari naturali, alla brillantezza dei cieli … al semplice piacere di vivere la propria vita anche in un grigio e uggioso mercoledì pomeriggio.

Sostanzialmente però l’umore evocato dal testo ha tuttavia tinte malinconiche nell’accezione psicopatologica della definizione, appesantito dal rammarico che così tanta della vita perduta sia rimasta una esperienza non vissuta.

Giocare ad immaginarci già morti nel tentativo di restituire lustro alla nostra vita rischia di trasformarci in entità fantasmagoriche e, qualora ciò accadesse significherebbe che l’autore del libro ha fallito ad investire così tanta della sua fiducia nel discorso filosofico.

Come ogni buon razionalista di questo mondo ci si vuole far credere che gli impulsi dissonanti che caratterizzano i nostri vissuti possano venire riconciliati da taluni processi riflessivi.

La verità è che l’atteggiamento comune verso la mortalità si distingue intrinsecamente in quanto contraddittoria.

Siamo terrorizzati dalla morte ed è per questo motivo che tendiamo a costruire elaborate difese per mantenerla distante e inattuale mentre, al tempo stesso, ne siamo intrigati e persino attratti tale è la forza trasformativa ad essa attribuita.

Per concludere, non sembra ragionevole rivolgersi al discorso filosofico nella ricerca di un rimedio alla più tipica, nella sua essenza, tra le paure umane, meglio abbracciare una qualche religione oppure, meglio ancora, godersi con un buon quoziente di accettazione la breve e incerta vita di cui disponiamo.

In fin dei conti “ trovarsi in uno stato di estrema rigidità il giorno dopo “ non sarà la fine del mondo. 

Testo liberamente estratto e tradotto da un articolo del filosofo e autore e audace critico dell’Illuminismo John Gray Being stiff the Next Day appare nel volume Gray’s Anatomy, una selezione dei suoi scritti più polemici e controversi edito da Penguin Philosophy nel 2009 poi ristampato e aggiornato nel 2015

Babilonia dentro e Babilonia fuori

da Cronache Babilonesi

L’ultimo Messia
Peter Wessel Zapffe


I.

Una notte di un tempo remotissimo, un uomo si svegliò e vide se stesso. Vide che era nudo nell’immensità, senza patria nel suo stesso corpo. Tutte le cose si dissolvevano nel suo pensiero: meraviglia dopo meraviglia, orrore dopo orrore, tutto si svelava alla sua mente.
Anche la donna si svegliò e disse che era tempo di uccidere. Ed egli prese il suo arco e la freccia, frutto del connubio di spirito e mano e uscì sotto le stelle.
Mentre le bestie arrivavano presso la pozza d’acqua dove era solito aspettarle, egli non sentì più il balzo della tigre nel suo sangue, ma un grande salmo di fratellanza nel dolore tra tutti i viventi.
Quel giorno non fece ritorno con la preda e quando lo ritrovarono, la luna seguente, era seduto, morto, presso la pozza d’acqua.

II.

 Cos’era successo? Una breccia nella profonda unità della vita, un paradosso biologico, un abominio, un’esagerazione di portata disastrosa. La vita aveva superato il suo obiettivo, staccandosi via dal resto.
Una specie troppo pesantemente armata di uno spirito possente, era divenuta una minaccia per la propria salvezza. La sua arma era una spada senza elsa, una lama a doppio taglio che scinde ogni cosa: colui che la brandisce deve afferrare la spada e rivolgere il suo taglio contro di sé.
 Nonostante i suoi nuovi occhi, l’uomo era ancora radicato nella materia, la sua anima imbastita di essa e subordinata alle sue cieche leggi. Eppure egli poteva vedere la materia come estranea, comparare se stesso a tutti i fenomeni e sentire i propri processi vitali.
Egli torna alla natura come un ospite non invitato, invano stendendo le mani per implorare una riconciliazione con la propria fattrice: la natura non risponde più. Essa ha realizzato un miracolo con l’uomo ma non lo riconosce più. Egli ha perso diritto di residenza nell’universo, ha mangiato il frutto dell’Albero della Conoscenza ed è stato espulso dal Paradiso. Egli ha potere sul mondo ma lo maledice, avendolo preso in cambio dell’armonia della propria anima, della propria innocenza, dell’intima pace nelle braccia della vita.
 Così l’uomo rimane con le sue visioni, tradito dall’universo, tra stupore e paura.Anche le bestie conoscono la paura, nelle tempeste, nelle zanne del leone.
Ma l’uomo conosce la paura della vita stessa, perfino del suo stesso essere. 
La vita è per la bestia potenza, calore e gioco e lotta e rabbia e piegare il capo sotto la legge del più forte. Nelle bestie la paura è limitata al presente, nell’uomo diventa paura del mondo e disperazione.
Non appena il bambino compare sul fiume della vita, il ruggito della cascata della morte sale alto nella valle, sempre più vicino, a strappargli ogni gioia.
L’uomo appartiene alla terra, la quale respira come un grande polmone. Ogni volta che espira, la vita sgorga da tutti i suoi pori e si slancia verso il sole. Quando inspira, invece, un lamento di dissoluzione passa tra le moltitudini, e i corpi cadono a terra come grandine. 
Non solo il proprio destino l’uomo vede: i cimiteri si spalancano sotto il suo sguardo, le lamentazioni dei dissolti millenni salgono verso di lui da quelle orribili forme decomposte, i sogni delle madri tornati polvere. 
La cortina del futuro si solleva per rivelare un incubo di ripetizioni infinite, l’insensata dissipazione di materiale organico. La sofferenza di miliardi di umani fa il suo ingresso dentro di lui attraverso la porta della compassione; da tutto ciò che vede, sorge una risata che si burla di ogni richiesta di giustizia, di ogni principio ordinatore. Vede se stesso uscire dal grembo della madre, tende la sua mano nell’aria ed essa ha cinque diramazioni. 
Da dove viene questo diabolico numero cinque e che cosa ha a che fare con la mia anima?
Egli non è più ovvio per se stesso. Tocca il proprio corpo con assoluto orrore: questo sei tu e fin qui puoi estenderti e non oltre. 
Porto del cibo con me che ieri era un animale che poteva ancora correre per conto suo. 
Lo mastico e diventa parte di me: allora, dove finisco io e dove inizio?
Tutte le cose sono incatenate insieme in cause ed effetti e tutto ciò che cerca di afferrare si dissolve prima che il pensiero lo comprenda. Presto comincia a scorgere le meccaniche anche nel suo ambiente, nel sorriso della sua amata. Alla fine, le caratteristiche di ogni cosa sono le sue. Niente esiste senza di lui, tutte linee convergono verso di lui, il mondo non è altro che uno spettrale eco della sua voce. Salta in piedi urlando a squarciagola, vorrebbe vomitare se stesso sulla terra insieme al suo impuro pasto; sente incombere la pazzia e vorrebbe darsi la morte prima di perderne la capacità. 
Ma mentre soppesa l’imminente morte, ne afferra anche la natura e le cosmiche implicazioni. La sua immaginazione creativa costruisce nuove spaventose prospettive dietro la cortina della morte e vede che anche lì non c’è salvezza.
Adesso può discernere i contorni dei propri termini biologico – cosmici: egli è il prigioniero senza speranza dell’universo, destinato a prospettive ignote
Da quel momento è in uno stato di panico senza fine. 

Questo stato di “panico cosmico” è centrale in ogni mente umana. In effetti una razza appare destinata a perire nella misura in cui ogni preservamento e continuazione della vita è giocata sull’energia spesa dall’individuo per sopportare o differire un qualche tipo di catastrofica alta tensione.
 La tragedia di una specie divenuta inadatta alla vita per il sovrasviluppo di una caratteristica non è limitata all’umanità. Si pensa, ad esempio, che certi grandi cervi di tempi paleontologici, si siano estinti a causa dell’acquisizione di corna sovrasviluppate.Le mutazioni sono cieche, funzionano, si fortificano senza alcuna utilità per l’ambiente.
Negli stati depressivi la mente può essere vista come corna ramificate che in tutto il loro fantastico splendore, piegano il loro portatore fino a terra. 

III.

Perché allora l’umanità non si è da gran tempo estinta in grandi epidemie di pazzia? Perché solo un irrisorio numero di individui perisce a causa della loro incapacità di resistere al peso della vita: cioè la consapevolezza dà loro più di quello che possono  sopportare?
La storia culturale, come pure l’osservazione di noi stessi e degli altri consente la seguente risposta: la maggior parte delle persone impara a salvarsi limitando il contenuto della coscienza. 
Se il cervo gigante, a più riprese, avesse spezzato i rami più esterni delle sue corna, avrebbe potuto resistere un po’ di più, sia pure nella febbre e nel dolore costante e nel tradimento della sua precisa peculiarità, poiché egli era stato chiamato dalla mano della natura a essere il portatore di corna tra gli animali selvaggi. Quello che avrebbe guadagnato in continuità avrebbe perso in significato, in grandezza di vita. In altre parole avrebbe avuto una continuità senza significato: non una marcia verso l’affermazione, ma una via attraverso le rovine da lui stesso create, in una corsa autodistruttiva contro il sacro volere del sangue. 
L’identità di scopo e mortalità è, per il cervo gigante come pure per l’uomo, il tragico paradosso della vita. 
In una devota Bejahungl’ultimo Cervus Giganticus, porta il segno del suo lignaggio fino alla fine. 
L’essere umano salva se stesso e va avanti. Realizza, per usare un’estensione di un termine noto, una semi consapevole repressione del proprio dannoso surplus di coscienza. Questo processo è virtualmente costante nelle nostre ore di veglia: è una richiesta di adattabilità sociale e di tutto ciò che si può definire un salutare e normale modo di vivere. 
La psichiatria si basa sull’assunto che salute e vitalità siano la più alta espressione in termini personali. Depressione “paura della vita”, rifiuto del nutrimento e così via, sono invariabilmente prese come segni di uno stato patologico e curati di conseguenza.
Spesso, tuttavia, questi fenomeni sono messaggi di un più profondo, immediato senso della vita, amaro frutto di una genialità di pensiero e sentimento alla radice di tendenze anti biologiche. Non è l’anima a essere malata, piuttosto è la sua protezione che cade, oppure viene rifiutata perché esperita (correttamente) come un tradimento del più alto potenziale dell’ego.
L’insieme degli umani è, sia dentro che fuori, immerso in meccanismi repressivi, sociali e individuali. Se ne trova traccia nelle più trite formule della vita di ogni giorno. Sebbene assumano una vasta e molteplice varietà di forme, è possibile identificare quattro maggiori tipi di meccanismo, ovviamente ricorrenti in ogni possibile combinazione: isolamento, ancoraggio, distrazione e sublimazione.

Per isolamento si intende la rimozione totalmente arbitraria dalla coscienza di ogni tipo di pensiero inquietante e distruttivo.

Un perfetto e quasi brutale esempio si può trovare tra certi tipi di medico che per auto-protezione vedono solo l’aspetto tecnico della loro professione. Un atteggiamento che può scadere fino al teppismo, un misto di energumeno e studente di medicina, nel quale ogni sensibilità per il lato tragico della vita è sradicata con mezzi violenti (tipo giocare a calcio on le teste dei cadaveri e così via). 

Nella vita di tutti i giorni l’isolamento si manifesta in un codice generale di reciproco silenzio: prima di tutto verso i bambini perché non abbiano a temere la vita appena cominciata, ma conservino le loro illusioni fino a quando potranno affrontarne la perdita. In cambio i bambini non devono seccare gli adulti con qualunque riferimento a sesso, cesso e morte.Tra adulti ci sono le regole del “tatto”, un meccanismo ampiamente spiegato quando un uomo che piange forte per strada viene fatto allontanare con l’aiuto della polizia.

Il meccanismo dell’ancoraggio serve fin dalla prima infanzia: i genitori, la casa, la strada, si confanno automaticamente al bambino, dandogli un senso di sicurezza.

Questa sfera di esperienza è la prima, e forse la più felice, protezione contro il cosmo che mai conosceremo nella vita, un fatto che spiega senza dubbio anche il tanto discusso “legame infantile”: che sia anche un aspetto sessuale è irrilevante qui.Quando il bambino scopre più tardi che questi punti fissi sono arbitrari ed effimeri come qualunque altro, ha una crisi di confusione e ansietà, per cui prontamente va in cerca di un altro ancoraggio: “in autunno inizierò la scuola media”.
Se la sostituzione in qualche modo fallisce, allora la crisi può prendere un corso fatale oppure subentra ciò che io chiamo uno spasmo da ancoraggio: ci si aggrappa ai valori morti, nascondendo il più possibile a sé e agli altri il fatto che ormai non funzionano più, che si è spiritualmente insolventi. Il risultato è una permanente insicurezza, un senso di inferiorità, inquietudine. Nella misura in cui questo stato ricade in determinate categorie, il soggetto viene sottoposto a trattamento psicoanalitico il cui scopo è completare la transizione a nuovi ancoraggi.

L’ancoraggio può essere caratterizzato da una fissazione di alcuni punti interiori, o dalla costruzione di mura intorno al liquido vortice della coscienza. Sebbene normalmente questi punti siano inconsci, possono anche essere consci (tipo “perseguire uno scopo”).
Gli ancoraggi pubblicamente utili incontrano le simpatie di tutti, chi sacrifica se stesso totalmente per il suo ancoraggio (la società, la causa) è idolatrato. 
Ogni cultura è un grande, compiuto sistema di ancoraggi, costruito su fondamentali certezze, le idee culturali di base. La persona media è fatta di certezze collettive, la personalità si costruisce da sola, il carattere finisce di edificarsi, più o meno radicato su certezze collettive ereditate (Dio, la Chiesa, lo Stato, la morale, il fato, la legge della vita, il popolo, il futuro). Più un certo elemento portante è vicino alle principali certezze, più è pericoloso toccarlo. Qui una protezione diretta è normalmente stabilita da codici penali e minacce di persecuzione (inquisizione, censura, tutto l’approccio conservatore della vita).

La capacità portante di ciascun segmento sociale dipende dal non essere ancora stato visto nella sua natura fittizia, o che sia riconosciuto come necessario in ogni modo: come, ad esempio, l’educazione religiosa nelle scuole che anche gli atei sostengono, poiché sanno di non avere altro modo per portare i bambini a inserirsi socialmente.
Quando la gente realizza la falsità e la ridondanza dei segmenti, comincia a lottare per rimpiazzarli con dei nuovi (“Verità a durata limitata”): da qui scaturisce la lotta culturale e spirituale che, insieme alla competizione economica, forma il dinamico contenuto della storia mondiale.
La brama di beni materiali (potere), non è tanto dovuta ai piaceri della ricchezza, poiché nessuno può sedersi su più di una sedia o mangiare più di quanto lo sazi. Piuttosto, il valore  della ricchezza consiste nelle maggiori opportunità di ancoraggio e distrazione offerte al possidente.Sia per gli ancoraggi collettivi, sia per quelli individuali, succede che quando un segmento si spezza, c’è una crisi che è tanto più grave quanto più il segmento è vicino alle certezze principali. Dentro i cerchi più interni, lontano dai bastioni esterni, queste crisi sono ricorrenze giornaliere e non dolorose (i “disappunti”). Si può anche giocare con i valori di ancoraggio (spiritosaggini, gerghi, alcool). Ma durante questi giochi può capitare accidentalmente di toccare il reale e la scena si trasforma istantaneamente da euforica a macabra. La minaccia dell’essere ci fissa negli occhi e in un mortale soffio percepiamo come tutti siamo sull’orlo della follia e l’inferno occhieggia sotto di noi. 

Le certezze realmente fondanti raramente sono rimpiazzate senza grandi spasmi sociali e a rischio di una completa dissoluzione (riforme, rivoluzioni). Durante questi momenti, gli individui sono sempre più abbandonati ai propri sistemi di ancoraggio e il numero dei fallimenti tende a crescere. Depressioni, eccessi e suicidi sono il risultato (come gli ufficiali tedeschi dopo la guerra, gli studenti cinesi dopo la rivoluzione).Un altro difetto del sistema è che una sovrastruttura logica è costruita sopra ogni certezza, cui si ammassano infiniti modi di sentire e di pensare. Ciò porta nella nostra vita innumerevoli contraddizioni.

Così la disperazione può entrare attraverso le spaccature. In questi casi una persona può essere ossessionata da una gioia distruttiva, spazzando via l’intero apparato artificiale della sua vita con una sorta di orrore estatico. L’orrore proviene dalla perdita di tutti i valori – rifugio, l’estasi dalla sua improvvisa spietata identificazione e armonia con il più profondo segreto della nostra natura, la biologica imperfezione, la perdurante disposizione alla rovina.Amiamo i nostri ancoraggi perché ci proteggono, ma allo stesso tempo li odiamo, perché limitano il nostro senso di libertà. Quando ci sentiamo abbastanza forti, prendiamo piacere nel seppellire un vecchio valore. Gli oggetti materiali qui assumono una rilevanza simbolica (L’approccio radicale alla vita). 

Un modo di protezione molto popolare è la distrazione. Si limita la propria attenzione verso gli aspetti critici dell’esistenza, essendo costantemente trascinati dalle impressioni.

Questo atteggiamento è tipico anche nell’infanzia: senza distrazioni il bambino è insofferente a se stesso. “Mamma e adesso cosa faccio?”. Una piccola ragazza inglese in visita a una zia norvegese, entrò nella sua stanza dicendo: “Che succede adesso?” La tata improvvisò con virtuosismo: “Guarda, un cagnolino! Guarda, stanno dipingendo il palazzo!
Il fenomeno è così familiare da non richiedere altra dimostrazione.
La distrazione è, per esempio, la tattica di vita dell’alta società. Può essere paragonata a un aeroplano, fatto di metallo pesante, ma incorporante un principio che consente di sollevarsi da terra quando è applicato: deve essere sempre in movimento, poiché l’aria sostiene solo se si va veloci. Il pilota può anche essere assonnato e pigro per abitudine, ma la crisi diventa acuta nel momento in cui il motore perde colpi.
La tattica è spesso pienamente consapevole. La disperazione può scavare proprio sotto traccia e irrompere zampillando in un improvviso singhiozzare. Quando tutte le possibilità di distrazione sono state usate, la malinconia si insedia, spaziando da una lieve indifferenza a una fatale depressione. Le donne, in genere meno soggette agli eccessi della cognizione e quindi più sicure della loro vita che gli uomini, usano preferibilmente la distrazione. Gran parte del male di essere prigionieri sta nell’avere accesso negato alle maggiori possibilità di distrazione. Man mano che i modi per affrancarsi vengono meno, il prigioniero tenderà a trovarsi faccia a faccia con la disperazione. Solo l’istinto di conservazione lo trattiene dall’esito finale. Egli sperimenta la sua anima isolata dall’universo e non ha altro sentimento che la totale insopportabilità di quella condizione.

Puri esempi di panico vitale sono presumibilmente rari, poiché i meccanismi protettivi sono automatici, affinati e costanti. Ma la morte è ovunque intorno, la vita è scarsamente sostenibile e a prezzo di grandi sforzi. La morte appare sempre una via di fuga, se si ignora la possibilità di un aldilà. Poiché il modo in cui si percepisce la morte dipende parzialmente da sentimenti e prospettive personali, potrebbe essere una soluzione accettabile. Se in statu mortis si potesse recitare (un poema, un gesto, “morire a testa alta”), come ancoraggio finale o distrazione finale (la morte di Aase, nel Peer Gynt), allora tale fato non sarebbe dei peggiori.Quando un essere umano si toglie la vita in seguito a depressione, questa è una morte naturale per cause spirituali. La barbarie moderna di “salvare” il suicida è basata su un malinteso sulla natura dell’esistenza, tale da far rizzare i capelli. 

La persona “civile” richiede connessioni, linee, una progressione nei cambiamenti. Niente soddisfa alla lunga, bisogna sempre avanzare, acquisendo conoscenza, intraprendendo una carriera. Il fenomeno è conosciuto come “anelare” o “tendenza trascendentale”. Quando lo scopo è raggiunto il desiderio va avanti. Quindi l’oggetto del desiderio non è lo scopo, ma il semplice ottenimento di esso: è il gradiente, non l’altezza assoluta, nella curva rappresentante una vita. La promozione da soldato semplice a caporale può dare un’esperienza più gratificante che quella tra colonnello a generale. Qualsiasi pretesa di “ottimismo progressivo” è confutata da questa legge psicologica.L’umano anelare non è soltanto da “lottare verso”, ma anche un “fuggire da”: nessuno finora ha avuto ben chiaro che cosa si anela, ma tutti hanno sempre in mente ciò da cui si fugge, cioè questa valle di lacrime, la nostra insopportabile condizione. Se la consapevolezza di questa condizione è il più profondo strato dell’anima, allora è comprensibile che l’anelito religioso sia esperito come fondamentale. 

Il quarto rimedio contro il panico, la Sublimazione, è questione di trasformazione piuttosto che repressione.

Attraverso doti artistiche o stilistiche il dolore di vivere può essere a volte convertito in una esperienza di valore. Gli impulsi positivi trasformano il male secondo i propri fini, rivelandone i suoi pittoreschi, drammatici, eroici, lirici o anche comici aspetti.Senza il controllo della mente, questo rimedio è improbabile. (Lo scalatore non si gode la veduta dell’abisso mentre lotta contro le vertigini. Solo quando questo sentimento è più o meno superato, godrà della scalata – ancoraggio). Per scrivere una tragedia bisogna essersi per un certo verso, liberati (aver tradito) il profondo senso di tragedia e guardarlo da un esterno ed estetico, punto di vista. Qui c’è, a proposito, un’opportunità per i più selvaggi rondò attraverso sempre più alti livelli, fino al più imbarazzante circulus vitiosus. Qui si può dare la caccia al proprio ego attraverso innumerevoli modi di essere, godendosi la capacità dei vari livelli di coscienza di dissiparsi uno con l’altro.

Il presente saggio è un tipico tentativo di sublimazione. L’autore non soffre, sta riempiendo pagine per poter essere pubblicato su un giornale.

IV.

È possibile per le nature “primitive” rinunciare a questi intralci e capriole e vivere in armonia con se stessi nella serena benedizione di lavoro e amore?

Nella misura in cui essi possano essere considerati umani, io penso che la risposta debba essere no. L’affermazione più precisa che si possa fare su questi cosiddetti popoli “naturali”, è che essi sono in qualche modo più vicini al meraviglioso ideale biologico di noi gente “innaturale”. La nostra specie ha potuto superare ogni tempesta, proprio attraverso quelle parti della nostra natura che derivano dalla distribuzione dell’energia tra il corpo e l’anima e che per converso ci creano problemi. Le nostre sofferenze sono dovute a limitazioni sensoriali, fragilità corporea, come pure al bisogno di lottare per avere vita e amore. Poiché una sempre maggiore parte delle nostre facoltà cognitive non sono più impiegate nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, sopraggiunge una crescente disoccupazione spirituale. Il valore di un avanzamento del progresso deve essere giudicato da quanto tiene occupato lo spirito dell’uomo, nel senso di una comunione con la natura.
Forse solo i primi utensili per tagliare possono essere considerati un esempio di invenzione positiva. Le altre invenzioni tecniche arricchiscono solo la vita dell’inventore stesso: rappresentano un volgare e spietato furto della comune riserva di esperienza dell’umanità. Andrebbe punito il loro pubblico uso con le più aspre pene.
L’assenza di una attività spirituale basata sulla natura biologica, viene manifestata, per esempio, da un pervasivo ricorso alla distrazione (spettacoli, sport, radio, “il ritmo dei tempi”). Non sono così vantaggiosi, oggi, gli ancoraggi: tutti i sistemi collettivi di ancoraggio ereditati dal passato non resistono alle critiche serrate e ansietà, disgusto, confusione e disperazione filtrano attraverso le loro spaccature. Il comunismo e la psicanalisi, cercano entrambi con mezzi nuovi di tentare la vecchia fuga, applicando rispettivamente, la violenza e l’astuzia per creare umani biologicamente adatti, intrappolando il loro critico surplus di cognizione. L’idea, in entrambi i casi, è stranamente logica. Ma non può portare a una soluzione finale. Sebbene un deliberato abbassamento a un più confortevole livello possa certamente salvare la specie nel breve termine, essa per sua natura non sarà in grado di trovare pace in tale rassegnazione e, in verità, non potrà mai trovare pace affatto.Se portiamo queste considerazioni alle sue estreme conseguenze, allora non c’è dubbio sulla conclusione. Finché l’umanità procederà nella fatale illusione di essere biologicamente destinata al trionfo, nulla di essenziale cambierà. Man mano che la popolazione aumenta e l’atmosfera spirituale si ispessisce, le tecniche di protezione assumono un crescente carattere brutale. 

E gli umani persisteranno in sogni di salvezza e affermazione con sempre nuovi messia. Eppure quando tutti i salvatori saranno stati inchiodati alle loro croci e lapidati nelle piazze, l’ultimo messia apparirà.

Sarà l’uomo che, primo tra tutti, ha osato mettere la sua anima a nudo e sottomettersi al più estremo dei pensieri del nostro lignaggio, l’idea stessa della fine. Un uomo che ha percepito la vita e le sue radici cosmiche e il cui dolore è il dolore della Terra intera. Con quali e quante furiose grida le torme di tutte le nazioni invocheranno che possa morire mille volte, quando come un panno, la sua voce avvolgerà il globo e il suo strano messaggio risuonerà per la prima e ultima volta:“La vita dei mondi è un fiume ruggente: ma la Terra è un pozzo di acqua stagnante. 

Il segno della colpa è scritto sulle nostre fronti. Per quanto ancora lotterete contro voi stessi? C’è solo una conquista e una corona, una redenzione e una soluzione:

Conosci te stesso, sii infertile e lascia che la terra sia silente dopo te.

L’intero libro in lingua inglese e’ scaricabile in .PDF QUI

Peter Wessel Zapffe, 1933

Cronache Babilonesi

 

DJ Selecta & Eternity Magazine ( UK )

At Last! After many years of searching I managed to get hold of this little gem of a mix.

This is from when Technoterra lived in the U.K. as an economic/hedonistic expat – having it large with pirate radio CHILLIN’FM 102.9 in London in the free early party scene as well as playing at many ordinary large and small venues mainly in the East side of town.

THANKS to OlD sKoOl RaVeRs UnItE! for uploading this!

This release came out as Volume 8, in a series of Limited Edition cassette DJ mixes along with ETERNITY Magazine – I believe – in 1995.

Great Acid Old Skool Techno.

Put simply : I am elated.

Courtesy of Mixcloud

Il potere del Gioco, il Gioco del Potere

“… il potere non si prende, si sorprende …” diceva un saggio qualche tempo fa e Huizinga definiva il gioco come un atto non imposto che stravolge le regole della vita “vera “, della vita ” ordinaria “, dal quale si trae soddisfazione, piacere, gioia sebbene esso sia peculiarmente un atto disinteressato.

Nel mondo imperfetto esso crea una perfezione temporanea e limitata che forse in rapporto a quello si pone come una ” illusione ” ( Ludere = Illudere ) ma una illusione che permette di assaporare momenti di realizzazione e di appagamento talvolta del tutto assorbenti ( ci si dimentica di stare giocando ) e che prefigura un mondo ludico in cui ciascuno operi secondo regole liberamente scelte.

La retorica legata al lavoro, la demagogia che ne accompagna l’esaltazione spesso autolesionistica, viene a subire dall’esplosione giocosa il più’ duro degli attacchi, per cui il ” mondo migliore “, nell’immaginario di ognuno, finisce col fondarsi immancabilmente su un momento ludico piuttosto che sul lavoro ” soddisfacente “.

Il gioco crea legami duraturi anche dopo che il gioco è finito: legami solidali, affettivi sentimenti di coesistenzialità che si oppongono alla solitudine, all’isolamento, all’incomunicabilità voluta dal dominio a difesa della propria stabilità.

Il gioco è partecipazione, è sperimentazione del mondo esterno, comunicazione non esclusivamente verbale, conoscenza diretta del proprio ( ed altrui ) corpo e della propria ( e altrui ) mente.

Ma il gioco è questo ed anche il contrario di tutto questo. Quando è il Potere che ” tiene banco ” il gioco assume aspetti opposti; da strumento di partecipazione, di protagonismo, esso diventa strumento di controllo e di recupero, da momento creativo e trasgressivo esso diventa cupa reiterazione, labirinto dell’alienazione e della solitudine metropolitana, l’uso dello Sport, dello spettacolo sportivo, l’utilizzo delle varie lotterie a premi assegna al gioco gestito dal Dominio il ruolo di deterrente della conflittualità, una sorta di antico ” oppio dei popoli ” da allineare accanto alla gestione gerarchica della religione ( tra gioco e rito sacro esiste una correlazione evidente ).

L’eccessiva ideologizzazionepotrebbe però indurci a credere che solo in mano al ” potere costituito “, alle istituzioni, il gioco diventi beffardo strumento di subordinazione e controllo, ma probabilmente non è così.

Il gioco può essere soltanto unilaterale anche a livello di rapporti individuali. I termini ” gabbare “, prendersi gioco di, burlarsi, ecc. individuano un’attività ludica unilaterale tutt’altro che immediatamente liberatoria, cooperativa, solidaristica.

Il gatto con il topo gioca, il topo con il gatto certamente no.

Per il gatto, per il suo comportamento, valgono i criteri individuati per definire il gioco ( atto libero, non imposto, che dà soddisfazione, senso di realizzazione ecc. ), ed è lui che decide quando e fino a quando giocare, come giocare e così via. Il topo non decide nulla e certo non si diverte, come non si divertono affatto le vittime di scherzi atroci, gli inermi e i perseguitati che subiscono il sadismo di chi è in una posizione di forza e la utilizza in questo senso. La sopraffazione può quindi allignare anche nel gioco e divenire attraverso di esso ancora più perversa.

L’universo del gioco è davvero variegato: da momento per apprendere e conoscere sé stessi ed il mondo esterno, da momento di comunicazione e sperimentazione delle relazioni solidali, da momento di liberazione da regole e norme imposte dall’alto, a momento di persecuzione ed oppressione il gioco avvolge ed accompagna l’esperienza dei viventi dai suoi aspetti solari fino a quelli più oscuri e detestabili.

Uno degli Eccessivi

Credits: Libreria Anomalia Roma ( Atti seminario sulla Trasgressione ) 1989/2019

Up North…

TT man new image new 2014

An eclectic effort into blending quality House music with mild Acid Techno at 130 BPM, once again electronic dance music reveals itself as One, these tracks all sit onto each other in an effortless, gracious manner, you hear a groove, you pick up a melody you drop a bass line into the mix, the drumming does never get too serious here, the sonic digital, yet organic, hot magma flows and makes sense for any pleasure seeker individual within such vibrational field.

This is a live un-edited Web Radio Broadcast, first aired on www.afterhoursdjs.org on Saturday July the 14th 2018.

 

The following producers are responsible for the music, in no particular order: 

16 bits lolitas, chymera, dave angel, barry jamieson, dave seaman, ejm project, harvey mckay, electric rescue, jody wisternoff, affkt, guy j, john digweed, edu imbernon, king unique, lank, amorph, mark knight, nathan cable, nic fanciulli, miguel bastida, metro area, paul thomas, pan pot, ramon tapia, robert babicz, sebrok, rulers of the deep, sonic infusion, naval, koljah, main element. future shock, laurent garnier, and many more.

By the way….

Technoterra Soundsystem moves up north soon, the intent that of trying and to get a better view on all matters of concern.

Although none of us ever asked for that we happen to be born, we get a chance to grow up, we  struggle to come to terms with our condition, we try to fit in the cogs of the environment that hosts us.

We tire of being who we are where we are, we can’t stand some of the types that enter our lives,  we sulk, we work hard, we think … we move on, sometimes we return.

Technoterra moves up north and embrace change.

You all be safe, true to yourselves and sound.

…a journey into Electronic Dance Music…

IMG_20180214_133535Beware Happy tracks in here span from all across the Electronic Dance Music spectrum, when i am out and want to hear a groove I like it best to vary in style, in the tempo and in the moods that it elicits too, if the kick drum, the bass line and the general texture of the sound offerings make me feel good, well that’s all I wish for myself in that particular moment. Same goes with DJ mixes I suppose, hence, such sequence came about. Recorded live on Web Radio ( AHDJS ), on a Saturday afternoon

ALL Time PUNK & HEAVY classics vol.1

sandy fist

Wow…il risveglio alle bellezze nascoste nella sterminata collezione di vinili del sottoscritto continua, continua grazie a tutta una serie di eventi che stanno spostando il baricentro delle mie azioni su versanti diversi da quelli entro i quali mi sono misurato e ( principalmente ) scontrato negli ultimi tempi.

Ecco allora che si realizza in studio una sequenza tutta chitarroni e pesantemente influenzata da sonorità classiche e care; qui si sentono classici e si ascoltano le parole di band come The Nuns, Adolescents, Nirvana, True Sound Of Liberty, The Zero BoysDag NastyHenry Rollins, Bad Brains, Rikk Agnew, ma anche di mostri sacri quali Cro-Mags, Motörhead, Slayer, charged GBH e Suicidal Tendencies.

Se conosci ” questa roba ” magari non l’avrai sentita da qualche anno, o forse te ne eri dimenticat* … il fatto è che suona ancora da paura, ti fa saltare da matti e ti fa PENSARE.

Trovo i contenuti delle liriche davvero coinvolgenti e autenticamente sentiti a livello emotivo da chi li esprimeva in maniera così ruvida e diretta trenta e passa anni fa’.

Non si tratta di nostalgia, mi piace pensare di essere tipo ben ancorato nel momento presente, quel che e’ stato  ( fortunatamente ) non ritorna, che non ci si illuda … chi c’era c’era … e molti di “noi” non ci sono più … scomparsi, smarriti, invischiati dalla vita, imborghesiti, rimbambiti … ma il materiale musicale presentato qui, vi assicuro,  è quanto di meglio ( tenendo conto che il mix in oggetto offre soltanto cinquanta minuti di musica ) l’ondata punk, hardcore, crossover heavy ebbe da produrre tra la fine degli anni settanta a quella degli anni ottanta.

Per il resto, fate voi.

 

A DJ blend constructed by carefully choosing tracks from my huge vinyl collection.
Here you will hear songs by The Nuns, Adolescents, Rikk Agnew, Nirvana, TSOL, Dag Nasty, Henry Rollins, Bad Brains, The Zero Boys as well as some heavy sacred monsters such as Cro-Mags, Motörhead, Slayer, charged GBH and Suicidal Tendencies.

These are all records that made me and a score of others “move” back in the day. Novelty is…they still do!!

3 Febbraio 2018 : oh jeez! Its tek-PUNKy time!

punky timesAGRI…che?? segui il LINK e scopri un mondo 😉

only speak English? Check this out and get in the know by scrolling the blog down to the required section

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FB event here // evento FB qui

LIVE @ AGRIPUNK COWpodanno 2018 Benefit Gig

https://www.edeejay.com/video/4816643/cowpodanno-2018-live-ambra-31-12-17/

This is a raw extract of TECHNOTERRA SOUNDSYSTEM 5 hours long DJ set to cover few kinds of electronic dance music, a sort of entry level type of musical journey put together and presented to a crowd unused to appreciate such sonorities.
Benefit night revealed to be a success beyond any expectations, everyone had a good time and we all had fun celebrating our oneness with the many non-human friends whom have found a safe haven and a shelter in this extraordinary place.
If you wish to know more on AGRIPUNK and on the philosophy of those activists whom struggle and work daily and selflessly so to provide for liberated farming animals please do follow the link :
https://technoterrasoundsystem.wordpress.com/2017/…
and find a brief text in english right at the bottom of our blog which is quite exhaustive on the project.

Thanks for your support and for the sharing
ROY

Untitled
Technoterra’s right shoulder tattoo speaks louder than words